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Forest Trail

Aree verdi

a cura di Pierangela Fiammetta Piras

Il concetto di “verde terapeutico” si sviluppa in diversi filoni di ricerca, quasi tutti volti comunque a contrastare il malessere generato dal “grigio” delle città. Lo studio capostipite in tal senso risale agli anni ’80 del secolo scorso, quando fu osservato che la sola vista di alberi da una finestra ospedaliera, rispetto a quella verso muri di mattoni, velocizzava i tempi di guarigione chirurgici e diminuiva la necessità di farmaci a supporto (Ulrich, 1984). Questo effetto benefico era stato osservato senza alcun contatto con gli alberi, che anzi i vetri delle finestre separavano totalmente. Dunque il verde visivo e paesaggistico ispirò in primo luogo l’architettura urbana, sino a giungere a interventi estremi come le due torri del Bosco a Milano dove “il verde è ridotto a fatto puramente visivo, percepibile dall’esterno, per il lato pubblico, e godibile dall’interno per i residenti. Il verde è, per tutti, inaccessibile, un paesaggio e uno spazio inaccessibile, una gigantesca vetrina che mette in scena la natura soggiogandone l’autonomia e virandola in un allestimento spettacolare e performativo, ottenuto attraverso un nuovo e superiore livello di domesticazione. Questa neutralizzazione del selvatico non è esente da contraccolpi e finisce per produrre un giardino mostruoso e parodistico, un nonsense premiato dall’immediato impatto pubblicitario” (Rocca, 2022). 

Il concetto di “verde terapeutico” si svilupperà invece come filtro e abbattitore degli inquinanti urbani e delle loro conseguenze nel filone di studi relativi ai servizi ecosistemici, che spingeranno verso il rinverdimento delle città e alla creazione di “spazi verdi” in realtà quali sfondo di altre attività ritenute salutari, in primis l’attività fisica. La “prescrizione dei parchi” in tal senso nasce negli Stati Uniti alla fine del secolo scorso, e questa iniziativa evolverà in numerose altre. La crescente consapevolezza della necessità che anche la “natura” dei parchi urbani deve essere sana per generare salute, ispirerà ad esempio la nascita del movimento, attualmente mondiale, Healthy Parks Healthy People, mentre le prime dimostrazioni di efficacia degli interventi nei parchi per migliorare i sintomi del disturbo da deficit di attenzione/iperattività (ADHD) e la denuncia espressa nel libro di Richard Louv The Last Child in the Woods, hanno contribuito a sensibilizzare l'opinione pubblica sui danni della mancanza di accesso alla Natura da parte dei bambini.

Sempre alla fine del secolo scorso, veniva però effettuato uno studio nell’isola di Yakushima, in Giappone (Miyazaki Y  et al 1996), che avrebbe generato un crescente interesse per le foreste selvatiche e introdotto il concetto di Shinrin Yoku. Fu infatti osservato che aver trascorso del tempo nelle foreste di quell’isola, dichiarata riserva della biosfera e patrimonio dell’umanità dall’UNESCO per la sua ricchezza in termini di biodiversità, aveva migliorato l’umore e i marcatori della fisiologia dello stress. Da allora, gli studi giapponesi si sono rivolti a definire che, “più che un'esperienza visiva (esteticamente gradevole) nella natura” (Craig et al 2016), lo shinrin-yoku è “un bagno nell'aria della foresta, con un'enfasi su ciò che si incontra durante la respirazione”. L'esperienza shinrin-yoku consente alle persone di assorbire letteralmente i "componenti emessi dalla foresta": “camminare attraverso le foreste di Yakushima, è stata un'opportunità per visualizzare, toccare, ascoltare e inalare la natura. Significava immergersi nella biodiversità.” Poiché l’aria delle foreste è ricca di componenti volatili e non volatili e di altri costituenti invisibili che potrebbero essere assenti (o presenti in quantità inferiori) negli ambienti edificati urbani, lo shinrin- yoku non è dunque semplicemente una fuga dall’aria urbana tossica. 

Nel caso delle foreste, la salutare biodiversità presente nell’aria, aerobioma, riguarda biocomponenti come granuli di polline, spore fungine, batteri, miceli, filamenti e spore di alghe, licheni, insetti e loro parti, tessuti vegetali e animali e numerosi altri microrganismi. La presenza di tale biomateria nell’aria dipende dalla ricchezza di diversità di flora e fauna nell’ambiente circostante, ma anche dalla biocomplessità, cioè dalle reti di relazioni che si creano nel tempo, tanto più numerose quanto più l’ecosistema ha avuto modo di evolvere in modo autodeterminato e senza essere disturbato.

Ma nel frattempo, altri studi si erano invece concentrati sulla biodiversità microbica, constatando come la separazione da essa nelle città, vuoi per la diffusa cementificazione, vuoi per l’uso (e abuso) di igienizzanti, era alla base di una disfunzione immunitaria capace di generare malessere e favorire l’insorgenza di malattie, in primis le allergie, e più in generale le malattie croniche. Se questa nuova consapevolezza ha incrementato progetti indirizzati al rewilding urbano e ha indotto a incoraggiare i cittadini ad una maggior frequentazione degli ambienti selvatici, il filone architettonico e paesaggistico ha approfondito l’influenza sul benessere della biodiversità percepita, scoprendo come, però, la percezione della biodiversità e il benessere che ne può derivare siano fortemente correlati al grado di relazione con la Natura dei singoli soggetti.

Sempre meglio evidenziato come il benessere ottenibile dal contatto con la Natura sia proporzionale al grado di relazione con essa (ad esempio Berto, 2018), questa è diventata un oggetto di studio sempre più diffuso per la gran parte delle discipline che si interessano del binomio Natura-salute umana, portando, tra l’altro, l’attenzione su come la relazione con la Natura spinga le persone a riconoscere negli ambienti naturali sani quelli che le fanno sentire meglio.  In conseguenza di ciò, da un lato si è registrato un progressivo incremento dell’offerta di turismo salutistico in foreste descritte come remote e incontaminate, con relativa minaccia di deterioramento delle stesse per l’impatto dell’eccessiva frequentazione umana, dall’altro è diventata sempre più interessante la proposta di partecipazione ad interventi di restauro ambientale per gli effetti terapeutici della biodiversità con la quale si viene in contatto, e per il benessere psicologico generato dalla relazione con la Natura, soddisfatta anche dal prendersi cura della stessa. Anche altri Interventi basati sulla Natura, dove questa è spesso stata fortemente domesticata e utilizzata come sfondo o strumento per attività ad esclusivo vantaggio umano, ad esempio l’ortoterapia o la landscape therapy, stanno sempre più valorizzando e tutelando la biodiversità, di specie e microbica, e la reciprocità della cura. Mentre aumentano le raccomandazioni pubbliche a “sporcarsi” in Natura, ed elementi della biocomplessità silvestre, come zolle di terriccio e piante di sottobosco, vengono aggiunte alle aree di gioco infantili, ad esempio nelle scuole materne.

Da un lato emerge dunque la necessità di arricchire la biodiversità del verde urbano, dando ad esso sempre più spazio e stratificazione, anche al fine di condurre stili di vita sani attraverso l’esercizio fisico, occasioni di socializzazione e cura della Natura, insieme a quella di riservare aree nelle foreste e nei boschi di prossimità, manutenute con rispetto della loro biocomplessità e della loro capacità di autodeterminarsi, al semplice “stare”, per assorbirne i preziosi aerobiomi e per lasciar armonizzare al meglio i propri bioritmi,  mantenendo  un atteggiamento di contemplazione, per dare tempo e spazio allo stupore, al riposo della mente, al pensiero creativo, e alle questioni esistenziali e spirituali.

Resta il fatto che gli effetti del “verde” sulla salute umana sono un tema estremamente complesso e i cui meccanismi sono ancora poco noti: agire sulle base di esiti parziali in una prospettiva riduttivista o sulla base di semplici convinzioni e intuizioni personali può mettere a rischio le persone e rappresentare una grave minaccia anziché un beneficio, sia per gli esseri umani, sia per gli ecosistemi stessi.

RIFERIMENTI

  • Berto, R., Barbiero, G., Barbiero, P., Senes, G. (2018). An individual’s connection to nature can affect perceived restorativeness of natural environments. Some observations about biophilia. Behavioral Sciences, 8 (3), 34

  • Craig, J. M., Logan, A. C., & Prescott, S. L. (2016). Natural environments, nature relatedness and the ecological theater: connecting satellites and sequencing to shinrin-yoku. Journal of physiological anthropology, 35(1), 1-10.

  • Frumkin H., Nature Contact and Human Health: A Research Agenda. Environ Health Perspect. 2017 Jul 31;125(7):075001.

  •  Miyazaki Y, Motohashi Y. Forest environment and physiological response. In: Agishi Y, Ohtsuka Y, editors. New Frontiers in Health Resort Medicine. Sapporo, Japan: Hokkaido School of Medicine Press; 1996. p. 67–77.

  • Piras FP, Pinna S., Barbiero G.,(2023) La natura su prescrizione nella pratica: modelli internazionali e loro tendenze, Il Cesalpino, 59:64-70

  • Rocca, A. (2022). Biblioteca degli alberi: quando il selvatico siamo noi. In Erbario. Una guida del selvatico a Milano (pp. 80-93). Mimesis.

  • Roslund, M. I., Puhakka, R., Grönroos, M., Nurminen, N., Oikarinen, S., Gazali, A. M., ... & ADELE Research Group. (2020). Biodiversity intervention enhances immune regulation and health-associated commensal microbiota among daycare children. Science advances, 6(42), eaba2578.

  •  Jain AK, Datta TR. Biodiversity of angiospermic taxa in the air of central India. In: Agarwal SK et al., editors. In Perspectives in Environment. New Delhi: APH Publishing; 1998. p. 371–6.

  • Wang X, et al., Mapping of Research in the Field of Forest Therapy-Related Issues: A Bibliometric Analysis for 2007-2021. Front Psychol. 2022 Jul 11;13:930713.

  • Ulrich, R. S. (1984). View through a window may influence recovery from surgery. science, 224(4647), 420-421.

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