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Tour del giardinaggio ecologico

Evoluzione e nuove prospettive per la Promozione della Salute
Di Paolo Pischiutti

Secondo la Costituzione dell’OMS (1) l’obiettivo dell’Organizzazione è “il raggiungimento, da parte di tutte le popolazioni, del più alto livello possibile di salute", definita come “uno stato di totale benessere fisico, mentale e sociale” e non semplicemente “assenza di malattie o infermità”. Questa definizione, datata 1946, al giorno d’oggi risulta anacronistica perlomeno in una delle parole in essa contenute: quel “totale” o “completo” benessere è praticamente presente in una minoranza della popolazione mondiale poiché non sono molti coloro che non hanno alcun problema di salute fisica, mentale o sociale, facendo emergere così, anche se non volutamente, una tendenza alla medicalizzazione della società.

Inoltre, con l’aumento della speranza di vita della popolazione mondiale (e questo è il secondo consistente affondo verso la definizione del 1948, demograficamente differente dagli anni 2000), sono aumentate le malattie croniche degenerative.

 

Stanno affermandosi così nuove proposte di definizione del concetto di salute, quali quelle, particolarmente affascinanti, che accomunano la definizione della salute della Terra (capacità di mantenere la stabilità ambientale entro una limitata variabilità), a quella umana, definita come la capacità dell’uomo di mantenere stabile e saper autogestire la propria salute (2). Questa definizione in realtà si avvicina molto anche a quella di Promozione della Salute come l’ha intesa l’OMS nel 1986 (3) ovvero “processo che consente agli individui di aumentare il controllo sulla propria salute e di migliorarla”.

 

Così come si avvicina ad un altro concetto salito alla ribalta con la pandemia Covid, ovvero quello di resilienza, intesa come capacità di far fronte agli stress e  difficoltà uscendone rafforzati.

Questo può avvenire in tutti e tre gli ambiti convenzionali della salute: quello fisico, con il concetto di allostasi, ovvero la capacità di mantenere la stabilità (omeostasi) attraverso i cambiamenti; quello mentale, inteso come la comprensione, gestione delle situazioni difficili, quali gli stress post traumatici; quello sociale, ovvero la capacità di mantenere un certo grado di autonomia.

 

I cambiamenti demografici avvenuti, che hanno originato la necessità di rivedere la definizione di salute, hanno avuto come conseguenza una crescita esponenziale delle patologie croniche degenerative. I dati nel nostro Paese sono impressionanti: 92% dei decessi sono causati da queste patologie, con una maggiore rilevanza delle patologie cardiovascolari (41%) e dei tumori (28%). L’invecchiamento della popolazione ha generato una crescente prevalenza di pazienti con due o più patologie – un terzo della popolazione adulta e oltre due terzi della popolazione anziana. Il 30% delle persone con più di 65 anni prende 10 o più farmaci (nel 2018 erano il 22% e nel 2016 l’11%), circa il 50% ne assume tra 5 e 9 (4).

 

Questi mutamenti hanno generato la necessità di rivedere gli approcci di gestione delle patologie, cui tuttavia la gran parte della classe medica ancora non ha aderito. Si assiste ancora infatti ad una medicina “riduzionista”, ovvero basata sul classico binomio causa-effetto in cui la diagnosi viene effettuata cercando la corrispondenza tra il quadro clinico del paziente e una determinata malattia già nota, sulla base di consensi tra clinici, ritenendo così ogni singola causa in grado di dare lo stesso effetto su tutti gli individui nello stesso modo (5). In realtà la situazione è molto più complessa. Con l’invecchiamento della popolazione infatti si deve tenere conto delle conseguenze della malattia sui diversi organi e apparati così come della coesistenza di più condizioni morbose; delle caratteristiche peculiari del paziente e della sua storia clinica, della possibile comparsa di complicanze, dei trattamenti che vengono praticati, dei loro effetti specifici, diretti e indiretti, ed effetti collaterali ed inoltre dell’invecchiamento e progressiva riduzione delle funzioni d’organo e di apparato. Così è stato introdotto il concetto di “complessità in medicina” che considera l’insieme delle diverse condizioni morbose non solo in quanto compresenti, ma nella loro interazione multidimensionale (comorbilità, multimorbilità a genesi comune o diversa, convergenza su elementi clinici comuni e interconnessione con acuzie e cronicità e con l’intensità di cura necessaria). In realtà in Italia, anche se lo stesso Ministero ha pubblicato 10 anni fa i “Criteri di appropriatezza clinica, tecnologica e strutturale nell’assistenza del paziente complesso”, questo approccio è ben lungi dall’essere applicato nella quotidianità dalla maggior parte del mondo sanitario (6).

 

La necessità di rivedere gli approcci metodologici è emersa anche in epidemiologia, quando è stato chiaro che occorreva studiare come esposizioni multiple agiscano nel tempo e come misurarne l’effetto sinergico; le numerose difficoltà metodologiche riscontrate hanno fatto emergere la necessità di superare così l’approccio dell’epidemiologia classica “un'esposizione - un esito”, con l’affermarsi del concetto di esposoma (7), che sta ad indicare «la totalità delle esposizioni ambientali (non genetiche) a cui un individuo è esposto a partire dal concepimento in avanti». Il termine è derivato dall’analogia a quello di genoma, definito come l’insieme del patrimonio genetico di un individuo. L’esposoma viene generalmente declinato su tre domini: ambiente esterno generale (es. clima e urbanizzazione), ambiente esterno specifico (es. alimentazione, abitudine al fumo), ed ambiente interno dell’individuo, comprendente processi ormonali, infiammatori e molecolari, studiati e descritti nel loro insieme come sistema biologico complesso (es. proteoma, trascrittoma, metaboloma). A differenza dell’approccio tradizionale all’epidemiologia ambientale, che studia quasi esclusivamente le esposizioni provenienti dall’ambiente esterno (inquinanti, agenti fisici ecc...) e mette in relazione  un singolo fattore ambientale con un esito di salute, l’approccio esposomico intende cogliere la totalità delle esposizioni, considerando anche l’ambiente interno (marcatori specifici di esposizione, profili genetici, epigenetici, metabolici, ecc.), permettendo così di rilevare possibili associazioni esposizioni-effetti precedentemente sconosciute, migliorare la comprensione dell’eziologia delle malattie e identificare nuovi biomarcatori di esposizione.

Si può così facilmente comprendere come l’approccio esposomico possa aprire nuove prospettive per lo studio e la prevenzione di diverse patologie. Quanta strada ci sia ancora da fare in questo senso e quanto complesse siano le interazioni tra i diversi ambienti lo rivela il sostanziale fallimento delle promesse del Progetto Genoma Umano, completato nel 2000, ovvero la speranza che, una volta studiato tutto il genoma umano, sarebbe stato facile intervenire su di esso per prevenire e curare molte malattie.

 

Tra le c.d. scienze “omiche” un posto di rilievo ha lo studio del microbioma, ovvero del patrimonio genetico dei miliardi di microorganismi ospitati nel nostro corpo. Ciascuno di noi infatti ospita una fiorente popolazione di microorganismi organizzati in comunità situate ovunque nel nostro corpo: pelle, bocca, intestino, ecc

Siamo un “superorganismo” composto da cellule umane e non umane, composte da miliardi di batteri, virus, funghi e protozoi che è stato chiamato microbiota. La sua composizione si modifica in funzione della dieta, dell’attività fisica, dei farmaci assunti.

Sempre più studi correlano la biodiversità del microbiota a stati patologici quali obesità, patologie cardiovascolari, malattie autoimmuni, tumori, depressione, etc., le così dette “malattie del progresso” che affliggono sempre più i paesi economicamente ricchi ma poveri in termini di biodiversità (8) (9) (10). Molti studi (11) (12) (13) confermano come il microbiota svolga funzioni fisiologiche, metaboliche e immunologiche indispensabili per mantenere uno stato di benessere fisico e mentale, ma il microbiota dev’essere anch’esso “in salute” e ciò dipende dalla diversità delle specie di microbi presenti, dell’abbondanza numerica relativa di ogni specie e dal rapporto tra specie benefiche e quelle potenzialmente dannose (se sono più numerose le une rispetto alle altre). La salute del microbiota dipende anche dalla biodiversità dell’ambiente in cui l’organismo che lo ospita (essere umano) vive.

RIFERIMENTI

1) WHO. Constitution of the World Health Organization. 2006. www.who.int/governance/eb/who_constitution_en.pdf.

2) HUBER et al ”How should we define health?” BMJ 2011;343:d4163

3) https://www.who.int/teams/health-promotion/enhanced-wellbeing/first-global-conference

4) Criteri di appropriatezza clinica, tecnologica e strutturale nell’assistenza del paziente complesso – Quaderni del Ministero della Salute – n.23, settembre-ottobre 2013

5) https://www.aifa.gov.it/osservatorio-impiego-medicinali-osmed

6) Piras P.F., Barbiero G. - Malattie croniche e terapie forestali: la sfida della “complessità” - 2022-Cesalpino-54-11-16-Terapie-Forestali

7) Maritano S. et al - Esposoma: un nuovo modo di studiare le complesse relazioni tra Ambiente e Salute in https://www.cpo.it/workspace/files/scheda-rias_exposoma-60efefcfca216.pdf

8) https://www.issalute.it/index.php/la-salute-dalla-a-alla-z-menu/f/flora-intestinale-microbiota-e-microbioma

9) Giusti A. - Allattamento: salute, prevenzione e biosostenibilità. Epidemiol Prev, 2015, 39.5-6: 386-391.

10) Finlay, B. Brett. Lascia che si sporchi. Sperling & Kupfer, 2017.

11) Roslund M. et al - Long-term biodiversity intervention shapes health-associated commensal microbiota among urban day-care children - Environment International - Volume 157, December 2021, 106811

12) Haahtela T. et al - Hunt for the origin of allergy – comparing the Finnish and Russian Karelia - Clinical & Experimental Allergy, 45 : 891–901

13) Haahtela T, Valovirta E, Bousquet J, Mäkelä M, et al. The Finnish Allergy Programme 2008–2018 works. Eur Respir J 2017; 49: 1700470

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