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Incontro di gruppo, riunione di squadra
Cos'è e come funziona una Comunità di Pratica (CdP)

Le comunità di pratica (CdP) sono gruppi informali di persone che hanno in comune un interesse, la passione per un tema specifico, e che arricchiscono le proprie conoscenze attraverso una interazione continua, grazie a modalità condivise di azione e di interpretazione della realtà[1]

Nelle CdP teoria e pratica sono connesse: si apprende facendo. Dunque le CdP non sono reti di conoscenza teorica ma si basano sul fare, anzi, sul raggiungere tutti insieme l’eccellenza del fare in un determinato ambito: nel nostro caso sviluppare le Prescrizioni Verdi in una prospettiva One Health / Salute Planetaria.

 

 

 

Poiché le CdP si basano su una intenzione comune, non avrebbe alcun senso forzare alla partecipazione. Chi partecipa ad una CdP mira a un modello di conoscenza condivisa e riconosce valore e rispetto agli altri. Di conseguenza non c’è spazio per la competizione tra i suoi membri. Anzi, la filosofia è che “chi ha una conoscenza e la tiene per sé è come se non l'avesse”.

All'interno delle CdP non esiste una gerarchia: i ruoli vengono assunti in base alle competenze ed ai bisogni dei membri, ma anche al grado di partecipazione e messa in pratica. I membri di una CdP possono partecipare come e quanto vogliono, a seconda dell’interesse o dell’impegno che possono dedicare.

In una CdP tipicamente c’è un “cuore” della comunità, cioè un gruppo centrale disposto a impegnarsi molto, che partecipa attivamente alle discussioni, porta avanti i progetti, identifica le esigenze, coordina e supporta le attività degli altri membri.

Questo “cuore” è circondato da un gruppo attivo, che partecipa regolarmente anche se con meno intensità del gruppo centrale.

C’è poi un gruppo periferico, di persone che partecipano saltuariamente ma si mantengono aggiornate e osservano le attività dei gruppi più attivi, costruendosi comunque nuove opinioni e imparando a loro volta, magari attivandosi per sotto tematiche o in periodi specifici.

Possono esserci infine interessati esterni che consultano la CdP in alcune circostanze, ad esempio per la partecipazione ad una ricerca o per sviluppare un particolare progetto.

 

 

Il vantaggio delle CdP è legato proprio alla loro natura informale, al senso di appartenenza e identità conseguente alla passione per il tema condiviso e al desiderio di imparare gli uni dagli altri ad agire in modo eccellente, aiutandosi a superare gli ostacoli e identificando soluzioni innovative.

D’altra parte, possono esserci alcune criticità, rappresentate soprattutto dalla scarsa attitudine di molte persone alla condivisione della conoscenza, essendo ancora frequente la tendenza a considerare l’informazione come elemento di potere, da non condividere con altri per il timore di vedere sminuito il proprio valore e ruolo. Un’altra criticità può essere la consuetudine a modalità formali di apprendimento, per cui alcuni trovano difficile operare in situazioni di apprendimento informale, dove la conoscenza emerge dalla messa in comune di idee e informazioni e non solo all’acquisizione passiva delle stesse.

 

NEL CASO DELLA NOSTRA CdP, il primo passaggio è stato proprio quello di mettere a disposizione risorse che permettessero alle persone di valutare il loro eventuale interesse a partecipare per la realizzazione pratica delle Prescrizioni Verdi, con qualunque ruolo, dai prescrittori ai pazienti, dai ricercatori agli operatori di Interventi basati sulla Natura, dai cittadini ai decisori sociali.

 

Mentre il gruppo dei ricercatori scientifici è attivo da tempo, riteniamo che il coinvolgimento dei realizzatori debba essere pianificato direttamente con loro, studiando insieme le modalità più utili. Ferma restando la fluidità tipica delle CdP, ipotizziamo infatti che inizialmente ci si dedicherà soprattutto a realizzare i primi progetti pilota in Italia e che, tramite queste esperienze, saranno identificati eventuali problemi da affrontare, mentre emergeranno nuove idee e opportunità. È possibile che questo suggerisca quindi la formazione di sottogruppi, ad esempio per zone o per temi, che potranno lavorare in autonomia ma sempre con la possibilità di attingere alla rete della comunità, sia per supporto sia per lo scambio delle competenze acquisite.

 

Per quanto ci riguarda,

l’avventura è iniziata e siamo in attesa di conoscere i nostri compagni di viaggio.

 

[1] Wenger È. Comunità di pratica. Apprendimento, significato e identità. Raffaello Cortina Editore. Milano, 2006

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